Dante Alighieri (1265-1321)


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La dispietata mente, che pur mira

La dispietata mente, che pur mira
di retro al tempo che se n’è andato,
da l’un de’ lati mi combatte il core;
e ’l disio amoroso, che mi tira
ver lo dolce paese c’ho lasciato,

d’altra part’è con la forza d’Amore;
né dentro i’ sento tanto di valore
che lungiamente i’ possa far difesa,
gentil madonna, se da voi non vene:
però, se a voi convene

ad iscampo di lui mai fare impresa,
piacciavi di mandar vostra salute,
che sia conforto de la sua virtute.
Piacciavi, donna mia, non venir meno
a questo punto al cor che tanto v’ama,

poi sol da voi lo suo soccorso attende;
ché buon signor già non ristringe freno
per soccorrer lo servo quando ’l chiama,
ché non per lui, ma per suo onor difende.
E certo la sua doglia più m’incende,

quand’i’ mi penso ben, donna, che vui
per man d’Amor là entro pinta sete:
così e voi dovete
vie maggiormente aver cura di lui;
ché que’ da cui convien che ’l ben s’appari,

per l’imagine sua ne tien più cari.
Se dir voleste, dolce mia speranza,
sacciate che l’attender io non posso;
ch’i’ sono al fine de la mia possanza.
E ciò conoscer voi dovete, quando

l’ultima speme a cercar mi son mosso;
ché tutti incarchi sostenere a dosso
de’ l’uomo infin al peso ch’è mortale,
prima che ’l suo maggiore amico provi,
poi non sa qual lo trovi:

e s’elli avven che li risponda male,
cosa non è che costi tanto cara,
che morte n’ha più tosto e più amara.
E voi pur sete quella ch’io più amo,
e che far mi potete maggior dono,

e ’n cui la mia speranza più riposa;
che sol per voi servir la vita bramo,
e quelle cose che a voi onor sono
dimando e voglio; ogni altra m’è noiosa.
Dar mi potete ciò ch’altri non m’osa,

ché ’l sì e ’l no di me in vostra mano
ha posto Amore; ond’io grande mi tegno.
La fede ch’eo v’assegno
muove dal portamento vostro umano;
ché ciascun che vi mira, in veritate

di fuor conosce che dentro è pietate.
Dunque vostra salute omai si mova,
e vegna dentro al cor, che lei aspetta,
gentil madonna, come avete inteso:
ma sappia che l’entrar di lui si trova

serrato forte da quella saetta
ch’Amor lanciò lo giorno ch’i’ fui preso;
per che l’entrare a tutt’altri è conteso,
fuor ch’a’ messi d’Amor, ch’aprir lo sanno
per volontà de la vertù che ’l serra:

onde ne la mia guerra
la sua venuta mi sarebbe danno,
sed ella fosse sanza compagnia
de’ messi del signor che m’ha in balia.

Canzone, il tuo cammin vuol esser corto;
ché tu sai ben che poco tempo omai
puote aver luogo quel per che tu vai.




Cavalcando l’altr’ier per un cammino

Cavalcando l’altr’ier per un cammino,
pensoso de l’andar che mi sgradia,
trovai Amore in mezzo de la via
in abito leggier di peregrino.

Ne la sembianza mi parea meschino,
come avesse perduto segnoria;
e sospirando pensoso venia,
per non veder la gente, a capo chino.

Quando mi vide, mi chiamò per nome,
e disse: “Io vegno di lontana parte,
ov’era lo tuo cor per mio volere;

e recolo a servir novo piacere”.
Allora presi di lui sì gran parte,
ch’elli disparve, e non m’accorsi come.



Donna pietosa e di novella etate

Donna pietosa e di novella etate,
adorna assai di gentilezze umane,
ch’era là ’v’io chiamava spesso Morte,
veggendo li occhi miei pien di pietate,
e ascoltando le parole vane,
si mosse con paura a pianger forte.
E altre donne, che si fuoro accorte
di me per quella che meco piangia,
fecer lei partir via,
e appressarsi per farmi sentire.
Qual dicea: “Non dormire”,
e qual dicea: “Perché sì ti sconforte?”
Allor lassai la nova fantasia,
chiamando il nome de la donna mia.

Era la voce mia sì dolorosa
e rotta sì da l’angoscia del pianto,
ch’io solo intesi il nome nel mio core;
e con tutta la vista vergognosa
ch’era nel viso mio giunta cotanto,
mi fece verso lor volgere Amore.
Elli era tale a veder mio colore,
che facea ragionar di morte altrui:
“Deh, consoliam costui”
pregava l’una l’altra umilemente;
e dicevan sovente:
“Che vedestù, che tu non hai valore?”
E quando un poco confortato fui,
io dissi: “Donne, dicerollo a vui.

Mentr’io pensava la mia frale vita,
e vedea ’l suo durar com’è leggiero,
piansemi Amor nel core, ove dimora;
per che l’anima mia fu sì smarrita,
che sospirando dicea nel pensero:
–Ben converrà che la mia donna mora -.
Io presi tanto smarrimento allora,
ch’io chiusi li occhi vilmente gravati,
e furon sì smagati
li spirti miei, che ciascun giva errando;
e poscia imaginando,
di caunoscenza e di verità fora,
visi di donne m’apparver crucciati,
che mi dicean pur: – Morra’ti, morra’ti -.

Poi vidi cose dubitose molte,
nel vano imaginare ov’io entrai;
ed esser mi parea non so in qual loco,
e veder donne andar per via disciolte,
qual lagrimando, e qual traendo guai,
che di tristizia saettavan foco.
Poi mi parve vedere a poco a poco
turbar lo sole e apparir la stella,
e pianger elli ed ella;
cader li augelli volando per l’are,
e la terra tremare;
ed omo apparve scolorito e fioco,
dicendomi: – Che fai? non sai novella?
Morta è la donna tua, ch’era sì bella -.

Levava li occhi miei bagnati in pianti,
e vedea, che parean pioggia di manna,
li angeli che tornavan suso in cielo,
e una nuvoletta avean davanti,
dopo la qual gridavan tutti: “Osanna”;
e s’altro avesser detto, a voi dire’lo.
Allor diceva Amor: – Più nol ti celo;
vieni a veder nostra donna che giace -.
Lo imaginar fallace
mi condusse a veder madonna morta;
e quand’io l’avea scorta,
vedea che donne la covrian d’un velo;
ed avea seco umiltà verace,
che parea che dicesse: – Io sono in pace -.

Io divenia nel dolor sì umile,
veggendo in lei tanta umiltà formata,
ch’io dicea: – Morte, assai dolce ti tegno;
tu dei omai esser cosa gentile,
poi che tu se’ ne la mia donna stata,
e dei aver pietate e non disdegno.
Vedi che sì desideroso vegno
d’esser de’ tuoi, ch’io ti somiglio in fede.
Vieni, ché ’l cor te chiede -.
Poi mi partia, consumato ogne duolo;
e quand’io era solo,
dicea, guardando verso l’alto regno:

Beato, anima bella, chi te vede! –
Voi mi chiamaste allor, vostra merzede”.




Commedia 


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