Torna alla pagina: “Le più belle poesie della lingua italiana”
Poesia e prosa
Se voi foste un color, sareste quello
Del geranio fiorito;
Ed io vi porterei sul mio vestito
Attaccata all’occhiello.
E se foste un olezzo, voi sareste
L’incenso degli Dei,
Iris, ginepro o maggiorana agreste;
Ed io sternuterei.
Se un sapor foste, egli sarìa stupendo
Pizzicor di rosoli;
Io sarei, per quel caso, il Reverendo
Canonico Ambrosoli.
Carme, sareste il Cantico de’ Cantici
E gli organi giudei
Suonerebbero a festa, ed io sarei
Il mantice de’ mantici!
Se foste un vento, sareste Scirocco
D’Algeri o di Marocco,
Soffio arcano, bollente e Levantino;
Ed io sarei mulino.
Ora di questi versi
Resta ancora a vedersi
La lieta allegoria
Ch’è palese e nascosa:
Siete la Poësia
Ed io sono la prosa.
Dualismo
Son luce ed ombra; angelica
Farfalla o verme immondo,
Sono un caduto chèrubo
Dannato a errar sul mondo,
O un demone che sale,
Affaticando l’ale,
Verso un lontano ciel.
Ecco perché nell’intime
Cogitazioni io sento
La bestemmia dell’angelo
Che irride al suo tormento,
O l’umile orazione
Dell’esule dimone
Che riede a Dio, fedel.
Ecco perché m’affascina
L’ebbrezza di due canti,
Ecco perché mi lacera
L’angoscia di due pianti,
Ecco perché il sorriso
Che mi contorce il viso
O che m’allarga il cuor.
Ecco perché la torbida
Ridda de’ miei pensieri,
Or mansüeti e rosei.
Or violenti e neri;
Ecco perché con tetro
Tedio, avvicendo il metro
De’ carmi animator.
O creature fragili
Dal genio onnipossente!
Forse noi siam l’homunculus
D’un chimico demente,
Forse di fango e foco
Per ozïoso gioco
Un buio Iddio ci fé
E ci scagliò sull’umida
Gleba che c’incatena,
Poi dal suo ciel guatandoci
Rise alla pazza scena,
E un dì a distrar la noia
Della sua lunga gioia
Ci schiaccerà col piè.
E noi viviam, famelici
Di fede o d’altri inganni,
Rigirando il rosario
Monotono degli anni,
Dove ogni gemma brilla
Di pianto, acerba stilla
Fatta d’acerbo duol.
Talor, se sono il dèmone
Redento che s’indìa,
Sento dall’alma effondersi
Una speranza pia
E sul mio buio viso
Del gaio paradiso
Mi fulgureggia il sol.
L’illusïon — libellula
Che bacia i fiorellini
— L’illusïon — scoiattolo
Che danza in cima i pini
— L’illusïon — fanciulla
Che trama e si trastulla
Colle fibre del cor,
Viene ancora a sorridermi
Nei dì più mesti e soli
E mi sospinge l’anima
Ai canti, ai carmi, ai voli;
E a turbinar m’attira
Nella profonda spira
Dell’estro idëator.
E sogno un’Arte eterea
Che forse in cielo ha norma,
Franca dai rudi vincoli
Del metro e della forma,
Piena dell’Ideale
Che mi fa batter l’ale
E che seguir non so.
Ma poi, se avvien che l’angelo
Fiaccato si ridesti,
I santi sogni fuggono
Impäuriti e mesti;
Allor, davanti al raggio
Del mutato miraggio,
Quasi rapito, sto.
E sogno allor la magica
Circe col suo corteo
D’alci e di pardi, attoniti
Nel loro incanto reo.
E il cielo, altezza impervia.
Derido e di protervia
Mi pasco e di velen.
E sogno un’Arte reproba
Che smaga il mio pensiero
Dietro le basse imagini
D’un ver che mente al Vero
E in aspro carme immerso
Sulle mie labbra il verso
Bestemmïando vien.
Questa è la vita! l’ebete
Vita che c’innamora.
Lenta che pare un secolo,
Breve che pare un’ora;
Un agitarsi alterno
Fra paradiso e inferno
Che non s’accheta più!
Come istrïon, su cupida
Plebe di rischio ingorda,
Fa pompa d’equilibrio
Sovra una tesa corda,
Tale è l’uman, librato
Fra un sogno di peccato
E un sogno di virtù.
Torna alla pagina: “Le più belle poesie della lingua italiana”