Baldassare Castiglione (1478-1529)

Manca il fior giovenil de’ miei prim’ anni

Manca il fior giovenil de’ miei primi anni,
e dentro nel cor sento
men grate voglie; nè più ‘l volto fore
spira, come solea, fiamma d’amore.
Fuggon più che saella in un momento
i giorni invidiosi; e ‘l tempo avaro
ogni cosa mortal ne porta seco.
Questo viver caduco a noi sì caro,
è un ombra, un sogno breve, un fumo, un vento,
un tempestoso mare, un carcer cieco;
ond’ io pensando meco,
tra le tenebre oscure un lume chiaro
scorgo della ragione, che mostra al core,
come lo sforzin gli amorosi inganni
gir procacciando sol tutti i suoi danni.

E parmi udire: O stolto, e pien d’obblio,
dal pigro sonno omai
destati, e di corregger t’apparecehia
il folle error, che già teco s’invecchia.
Fors’ è presso all’occaso, e tu nol sai,
il sol, ch’esser ti par sul mezzo giorno;
onde più vaneggiar ti si disdice.
Penitenza, dolor, vergogna e scorno
premio di tue fatiche al fin arai;
pur ti struggi aspettando esser felice.
Svelli l’empia radice
di fallace speranza; e gli occhi intorno
rivolgendo, ne ‘tuoi martir ti specchia;
e vedrai che null’altro è ‘l tuo desio,
che odiar te stesso, e meno amare Iddio.

Dagli occhi tal ragion la benda oscura
mi leva, ond’io pur temo,
veggendomi lontan fuor del cammino
a periglioso passo esser vicino:
Nè trovo il foco mitigato o scemo
che m’accese nel cor l’ alma bellezza,
tal ch’io non so come da morte aitarlo.

Pur s’in me resta dramma di fermezza
spero ancor, bench’i’ sia presso all’ estremo
dall’incendio crudel vivo ritrarlo.
Ma, ahi lasso, mentre io parlo,
sento da non so qual strania dolcezza
l’anima tratta gir dietro al divino
lume de’ duo begli occhi; ond’ ella fura
tanto piacer, ch’ altro piacer non cura.

S’altri mi biasma, tu puoi dir: chi vuole
a forza navigar contrario all’onda
con debil remo, giù scorre à seconda.




Superbi colli, e voi sacre ruine


Superbi colli, e voi sacre ruine,
che ’l nome sol di Roma ancor tenete,
ahi che reliquie miserande avete
di tant’anime eccelse e pellegrine!

Colossi, archi, teatri, opre divine,
trionfal pompe glorïose e liete,
in poco cener pur converse siete,
e fatte al vulgo vil favola alfine.

Così, se ben un tempo al tempo guerra
fanno l’opre famose, a passo lento
e l’opre e i nomi il tempo invido atterra.

Vivrò dunque fra’ miei martir contento;
che se ’l tempo dà fine a ciò ch’è in terra,
darà forse ancor fine al mio tormento.


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