Cino da Pistoia (1270-1336/1337)

Amor che vien per le più dolci porte

Amor che vien per le più dolci porte
sì chiuso che nol vede omo passando,
riposa ne la mente e là tien corte,
come vuol, de la vita giudicando.

Molte pene a la cor per lui son porte,
fa tormentar li spiriti affannando,
e l’anima non osa dicer «tort’è»,
c’ha paura di lui soggetta stando.

Questo così distringe Amor, che l’have
in segnoria; però ne contiam nui
ch’elli sente alta doglia e colpi spessi;

e senza essempro di fera o di nave,
parliam sovente, non sappiendo a cui,
a guisa di dolenti a morir messi.


Su, per la costa, Amor, de l’alto monte

PER LA MORTE DI DANTE ALIGHIERI

Su per la costa, Amor, dell’alto monte,
Drieto allo stil del nostro ragionare,
Or chi potrìa montare,
Poi che son rotte l’ale d’ogni ingegno?
I’ penso ch’egli è secca quella fonte,
Nella cui acqua si potea specchiare
Ciascun del suo errare,
Se ben volem guardar nel dritto segno.
Ah vero Dio, che a perdonar benegno
Sei a ciascun che col pentir si colca,
Quest’anima, bivolca
Sempre stata e d’amor coltivatrice,
Ricovera nel grembo di Beatrice.

Quale oggi mai degli amorosi dubi
Sarà a’ nostri intelletti secur passo,
Poi che caduto, ahi lasso!,
È ’l ponte ove passava i peregrini?
Ma ’l veggio sotto nubi:
Del suo aspetto si copre ognun basso;
Sì come ’l duro sasso
Si copre d’erba e tal’ora di spini.
Ah dolce lingua che con tuoi latini
Facei contento ciascun che t’udìa,
Quanto dolor si dia
Ciascun che verso Amor la mente ha vôlta.
Poi che fortuna dal mondo t’ha tolta!

Canzone mia, alla nuda Fiorenza
Oggi ma’ di speranza, te n’andrai:
Di’ che ben può trar guai,
Ch’omai ha ben di lungi al becco l’erba.
Ecco: la profezia che ciò sentenza
Or è compiuta, Fiorenza; e tu ’l sai.
Se tu conoscerai
Il tuo gran danno, piangi, che t’acerba:
E quella savia Ravenna, che serba
Il tuo tesoro, allegra se ne goda,
Che è degna per gran loda.
Così volesse Dio, che per vendetta
Fosse deserta l’iniqua tua setta.


La dolce vista e ‘l bel guardo soave

La dolce vista e ’l bel guardo soave
De’ più begli occhi che si vider mai,
Ch’i’ ho perduto, mi fa parer grave
La vita sì ch’io vo traendo guai;
E ’n vece di pensier leggiadri e gai
Ch’aver solea d’amore,
Porto desii nel core
Che nati son di morte,
Per la partita che mi duol sì forte.

Oimè! deh perchè, Amor, al primo passo
Non mi feristi sì ch’io fussi morto?
Perchè non dipartisti da me, lasso!,
Lo spirito angoscioso ched io porto?
Amor, al mio dolor non è conforto:
Anzi, quanto più guardo.
Al sospirar più ardo;
Trovandomi partuto
Da quei begli occhi ov’io t’ho già veduto.

Io t’ho veduto in quei begli occhi, Amore,
Tal che la rimembranza me n’occide
E fa sì grande schiera di dolore
Dentro alla mente, che l’anima stride
Sol perchè morte mai non la divide
Da me; come diviso
Mi trovo dal bel viso
E d’ogni stato allegro,
Pel gran contrario ch’è tra ’l bianco e ’l negro.

Quando per gentil atto di salute
Vêr bella donna levo gli occhi alquanto,
Sì tutta si disvìa la mia virtute.
Che dentro ritener non posso ’l pianto,
Membrando di madonna, a cui son tanto
Lontan di veder lei.
O dolenti occhi miei,
Non morite di doglia?
Sì per vostro voler, pur che Amor voglia.

Amor, la mia ventura è troppo cruda,
E ciò che ‘ncontran gli occhi più m’attrista:
Dunque, mercè! che la tua man li chiuda,
Da c’ho perduto l’amorosa vista;
E quando vita per morte s’acquista,
Gli è gioioso il morire :
Tu sai dove de’ gire
Lo spirto mio da poi,
E sai quanta pietà s’arà di noi.

Amor, ad esser micidial pietoso
T’invita il mio tormento:
Secondo c’ho talento
Dammi di morte gioia,
Sì che lo spirto al men torni a Pistoia.


Torna alla pagina: “Le più belle poesie della lingua italiana”