Emilio Praga (1839-1875)

Terza rima

Quando il sol cadde e tacquero le squille,
La quïete e l’amor cantano un coro
Alla tribù dell’anime tranquille.

L’uomo è stanco di passi e di lavoro,
La donna ha l’occhio languido e profondo,
Il focolare è una chiesetta d’oro.

Mentre il suo raggio acuto e rubicondo
Cresce e svanisce, lottando col cero
E colla luna che accarezza il mondo;

Mentre il musino del gattuccio nero,
Immobile ed intento al limitare
Sogna il suo lungo sogno di mistero;

Come un mesto palombaro nel mare,
Io discendo nel cor che Iddio m’ha dato,
E mi guida le perle a rintracciare

Il respiro del bimbo addormentato.

I due poeti

Per un sentiero a margini
Di gigli e di roveti,
Un lungo stuol precedono
Due giovani poeti;
Non hanno al crin l’olimpico
Raggio del greco Apollo,
Non l’arpa ad armacollo.
Perchè lo stuol li seguita
Fra i gigli e fra i roveti?
Lo stuol lo ignora e mormora:
Quei due, son due poeti!

E meste donne, e vergini
Dagli occhi innamorati,
E giovinetti pallidi
Di larve inebriati,
E vecchi malinconici
Pieni di antiche storie,
Belli di antiche glorie,
Risa mescendo e lagrime,
Fra i gigli e fra i roveti,
Col plauso e la bestemmia
Seguono i due poeti.

L’un canta: — I dì declinano,
La creazione è stanca;
Un immenso sbadiglio
Il vecchio Adamo abbranca;
La vetustà dei secoli
Piange nell’universo,
E, in alta noia immerso,
Fra i dormïenti arcangeli,
Dio nell’azzurro io scerno
Che raccapriccia all’orrida
Idea d’essere eterno.

Desolazione e tenebra,
Ecco il nuovo retaggio!
Si fan di gelo i crateri,
Muor sulle fronti il raggio;
Onta all’amplesso, o vergini!
Maledetti i neonati!
Perano i fior sui prati,
E, coperta di cenere,
L’umanità languente
Si dissolva nei torbidi
Vapor dell’occidente! —

E l’altro canta: — Vivere
È uno scoppio di riso;
Il mondo è un manicomio
Che inneggia al paradiso!
Vedete i fior? Son lagrime
Della occulta allegrezza,
E la terra si spezza
Perchè ci dican gli alberi
Che giù nel tenebrore
Non si cessa di ridere,
E si fa ancor l’amore!

Vecchi pensosi; e vecchie
Dimesse, usciamo al sole;
Scordiamo i dì che furono
Per intrecciar carole;
E intorno a voi si accoppiino
Le giovinette razze;
Proli beate e pazze
Escan dai fianchi indomiti
Dei forti e delle belle;
E presto andrem nell’aria
A dischiodar le stelle!

E il primo ancora: — O l’Ellade,
La Venere di Milo!
Splendor, melodi, effluvii
Dall’Ellesponto al Nilo!…
O Menfi, o Babilonia!
Gioite ancor dal nulla;
Giganti della culla,
Ecco i pigmei del feretro!
Questa che si dissolve
Ripiomberà, caligine,
Sopra la vostra polve!

E l’altro ancora: — Un brindisi,
Fanciulli, all’avvenire!
E prepariamo un tumulo
Ai dubbi, ai pianti, all’ire!
Siam gli eredi dei secoli
Che han fatto economia;
A noi la legge pia,
La libertà dell’anima,
Il lavoro ferace,
A noi l’amore, il genio,
L’innocenza e la pace! —

Tal pel sentiero a margini
Di gigli e di roveti
Un lungo stuol precedono
I giovani poeti.
Però la folla attonita
Va ripetendo intorno:
Se l’un sorride al giorno,
Se l’altro è nelle tenebre,
Fra i gigli e fra i roveti,
Perchè la terra viaggiano
Insieme i due poeti? —

E meste donne, e vergini
Dagli occhi innamorati,
E giovinetti pallidi
Di larve inebriati,
E vecchi malinconici
Pieni di antiche storie,
Belli di antiche glorie,
Dicon: son risa o lagrime,
Son gigli o son roveti
Che coglierem sul mistico
Sentier dei due poeti? —

Allora un vecchio incognito
Apparve d’improvviso;
Pareva un dell’Iliade,
Tanto era grande in viso;
Certo avea viste l’epoche
Dei palesati arcani.
Stette, ed alzò le mani;
I due si inginocchiarono,
E quell’immenso stuolo
Fu tutto muto e immobile
In un momento solo.

— Dalle regioni eteree,
Dai sempiterni campi
Dove i Ver sono océani,
Dove le Idee son lampi,
Piova su te, miserrima,
Cieca turba, la luce:
È Amor che ti conduce!
È il divino carnefice
Che han questi due nel core!
È Amor che guida al tumulo,
Sia gioia o sia dolore! —

Disse: e, il manto sciogliendone,
Scoperse a lor due piaghe,
Che nell’ombra grondavano
Su quelle forme vaghe;
Lo stuol seguita avevala,
La bella coppia esangue,
Fra due rivi di sangue;
E quei due rivi uscivano
A flutti, e niun li vide,
Uno dal cor che lagrima,
L’altro dal cor che ride.


A mia madre

Tibi solae

Madre, narrartela
vorrei la storia,
ma è fumo, è nebbia
nella memoria.

Storia di grandini
e di vendemmie,
storia di lagrime
e di bestemmie;

frutto vermiglio,
succo letale,
cloaca, empireo
di branche e d’ale;

è piena d’angeli,
piena di streghe,
di geroglifici,
d’alfe e di omeghe.

Vi stride il rantolo,
vi scroscia il riso;
tutte le aureole
del paradiso,

tutte le furie
del folle inferno
vi cantan l’epica
del Padre Eterno!

Madre, narrartela
vorrei la storia,
ma è fumo, è nebbia
nella memoria! …

……………………

Però ritessimi
qualche armonia
che mi risusciti
l’infanzia mia;

qualche episodio,
qualche nonnulla…
un capitombolo
dalla mia culla,

un mal di stomaco,
la fanticella,
i Magi, i bricioli
della scarsella;

le panche gelide,
le passeggiate,
l’altar, le prediche
assaporate

cogli occhi timidi
fisi sui Santi
che mi guardavano
da tutti i canti,

mentre dal piccolo
libro di prece
i tuoi sfuggivano
cercando invece

–materna imagine
di paradiso!–
del bimbo pallido
l’intento viso.

Oh! sì—ritessimi
qualche armonia
che mi risusciti
l’infanzia mia,

che mi risusciti
l’albe svanite!…
Gioie od angoscie!
Se voi le dite

labbra che il bacio
comprime orando,
tornerò vergine,
robusto e blando!…

M’udrai ripetere
che la mia storia
è fumo, è nebbia
nella memoria,

ma che l’aureola
del tuo sorriso
la muta in estasi,
ne fa un Eliso!
A mia madre

Tibi solae

Madre, narrartela
vorrei la storia,
ma è fumo, è nebbia
nella memoria.

Storia di grandini
e di vendemmie,
storia di lagrime
e di bestemmie;

frutto vermiglio,
succo letale,
cloaca, empireo
di branche e d’ale;

è piena d’angeli,
piena di streghe,
di geroglifici,
d’alfe e di omeghe.

Vi stride il rantolo,
vi scroscia il riso;
tutte le aureole
del paradiso,

tutte le furie
del folle inferno
vi cantan l’epica
del Padre Eterno!

Madre, narrartela
vorrei la storia,
ma è fumo, è nebbia
nella memoria! …

……………………

Però ritessimi
qualche armonia
che mi risusciti
l’infanzia mia;

qualche episodio,
qualche nonnulla…
un capitombolo
dalla mia culla,

un mal di stomaco,
la fanticella,
i Magi, i bricioli
della scarsella;

le panche gelide,
le passeggiate,
l’altar, le prediche
assaporate

cogli occhi timidi
fisi sui Santi
che mi guardavano
da tutti i canti,

mentre dal piccolo
libro di prece
i tuoi sfuggivano
cercando invece

–materna imagine
di paradiso!–
del bimbo pallido
l’intento viso.

Oh! sì—ritessimi
qualche armonia
che mi risusciti
l’infanzia mia,

che mi risusciti
l’albe svanite!…
Gioie od angoscie!
Se voi le dite

labbra che il bacio
comprime orando,
tornerò vergine,
robusto e blando!…

M’udrai ripetere
che la mia storia
è fumo, è nebbia
nella memoria,

ma che l’aureola
del tuo sorriso
la muta in estasi,
ne fa un Eliso!


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