Gabriello Chiabrera (1552-1638)

Che la beltà presto finisce

La violetta,
che in sull’erbetta
s’apre al mattin novella,
di’, non è cosa
tutta odorosa,
tutta leggiadra e bella?

Si certamente,
ché dolcemente
ella ne spira odori;
e n’empie il petto
di bel diletto
col bel de’ suoi colori.

Vaga rosseggia,
vaga biancheggia
tra l’aure mattutine,
pregio d’aprile
via piu gentile;
ma che diviene al fine?

Alli, che in brev’ora,
come l’aurora,
lunge da noi sen vola,
ecco languir,
ecco perire
la misera viola.

Tu, cui bellezza
e giovinezza
oggi fan si superba;
soave pena,
dolce catena
di mia prigione acerba;

deh! con quel fiore,
consiglia il core
sulla tua fresca etate;
ché tanto dura
l’alta ventura
di questa tua beltate.


Vaneggia

Vaghi rai di ciglia ardenti,
Più lucenti,
Che del Sol non sono i rai;
Vinti alfin dalla pietate,
Mi mirate,
Vaghi rai, che tanto amai.

Mi mirate, raggi ardenti,
Più lucenti,
Che del Sol non sono i rai;
E dal cor traete fuore
Il dolore,
E l’angoscia de’ miei guai.

Vaghi raggi, or che ‘l vedete,
Che scorgete
Nel profondo del mio seno ?
Ivi sol per voi si vede
Pura fede,
Pura fiamma, ond’egli è pieno.

Già tra pianti, tra sospiri,
Tra martìri
L’arder mio tanto affermai;
E voi pur lasciaste al vento
Ogni accento,
Vaghi rai, che tanto amai.

Ora è vano ogni martìro:
S’io sospiro,
Il seren vostro turbate;
L’arder mio pur non credete,
Ma ‘l vedete
Vinti al fin dalla pietate.

O per me gioconda luce,
Che m’adduce
Del mio cor la pace intera;
Sia tranquilla in suo cammino
Sul mattino,
Sia tranquilla in su la sera.

Infra i dì sereni e belli
Ei s’appelli
Il più bel di ciascun mese:
Ogni musa a dargli vanto
Di bel canto
Ad ogn’or gli sia cortese.

E voi prego, lumi ardenti,
Più lucenti,
Che del Sol non sono i rai:
Di più foco, ov’ei ritorni,
Siate adorni,
Vaghi rai, che tanto amai.


Invito a bere

Aure serene e chiare
spirano dolcemente,
e l’alba in oriente
ricca di gigli e di viole appare.

Sulla sponda romita
lungo il bel rio di questa riva erbosa,
o Filli, a bere invita
ostro vivo di fragola odorosa.

Fra le mie tazze più care
reca la più diletta,
quella dove saetta
Amor sopra un delfin gli dèi del mare.


Torna alla pagina: “Le più belle poesie della lingua italiana”