Giambattista Marino (1569-1624) 

Donna, l’invido vel, che parte asconde

Donna, l’invido vel, che parte asconde
di tue bellezze, et al bel crin dà legge,
deh squarcia omai: fa che ‘l suo ben vaghegge
senz’ombra il cor, che non ha vita altronde.

De le chiome sovr’or lucide e bionde
sciogli il tesor, ch’avaro fren corregge,
sì che per l’aure poi libero ondegge,
e qual pria nacque, Amor rinasca in onde.

Ecco, rimira il sol che farsi adorno
suol de’ tuoi raggi, or il suo foco in gelo
volge, e s’avolge d’atra nube intorno.

Ma forse ombrata ancor t’invidia il cielo,
e vuol sua fronte il portator del giorno,
per somigliarsi a te, cinger d’un velo.


Beltà crudele

E labra ha di rubino
ed occhi ha di zaffiro
la bella e cruda donna ond’io sospiro.
Ha d’alabastro fino
la man che volge del tuo carro il freno,
di marmo il seno e di diamante il core.
Qual meraviglia, Amore,
s’a’ tuoi strali, a’ miei pianti ella è sì dura?
Tutta di pietre la formò natura.

 


Donna che si pettina 

Onde dorate, e l’onde eran capelli,
navicella d’avorio un dì fendea;
una man pur d’avorio la reggea
per questi errori preziosi e quelli;

e, mentre i flutti tremolanti e belli
con drittissimo solco dividea,
l’òr delle rotte fila Amor cogliea,
per formarne catene a’ suoi rubelli.

Per l’aureo mar, che rincrespando apria
il procelloso suo biondo tesoro,
agitato il mio core a morte gìa.
Ricco naufragio, in cui sommerso io moro,

poich’almen fur, ne la tempesta mia,
di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!




Invita la sua ninfa all’ombra

Or che l’aria e la terra arde e fiammeggia,
né s’ode euro che soffi, aura che spiri,
ed emulo del ciel, dovunque io miri,
saettato dal sole, il mar lampeggia;

qui dove alta in sul lido elce verdeggia,
le braccia aprendo in spaziosi giri,
e del suo crin ne’ liquidi zaffiri
gli smeraldi vaghissimi vagheggia;

qui, qui, Lilla, ricovra, ove l’arena
fresca in ogni stagion copre e circonda
folta di verdi rami ombrosa scena.

Godrai qui meco in un l’acque e la sponda;
vedrai scherzar su per la riva amena
il pesce con l’augel, l’ombra con l’onda.


Al seno della sua donna  

Oh che dolce sentier tra mamma e mamma
scende in quel bianco sen ch’Amore allatta!
Vago mio cor, qual timidetta damma,
da’ begli occhi cacciato, ivi t’appiatta.

Da l’ardor, che ti strugge a dramma a dramma,
schermo ti fia la bella neve intatta:
neve ch’ognor da la vivace fiamma
di duo Soli è percossa e non disfatta.

Vattene pur, ma per la via secreta
non distender tant’oltre i passi audaci,
che t’arrischi a toccar l’ultima mèta.

Raccogli sol, cultor felice, e taci,
in quel solco divin (se ’l vel nol vieta),
da seme di sospir mèsse di baci.


I numeri amorosi 

Presso un fiume tranquillo
disse a Filena Eurillo:
— Quante son queste arene,
tante son le mie pene;
e quante son quell’onde,
tante ho per te nel cor piaghe profonde. —

Rispose, d’amor piena,
ad Eurillo Filena:
— Quante la terra ha foglie,
tante son le mie doglie;
e quante il cielo ha stelle,
tante ho per te nel cor vive fiammelle.

— Dunque — con lieto core
soggiunse indi il pastore, —
quanti ha l’aria augelletti
sieno i nostri diletti,
e quante hai tu bellezze
tante in noi versi Amor care dolcezze.

— Sí, sí — con voglie accese
la ninfa allor riprese; —
facciam, concordi amanti,
pari le gioie ai pianti,
a le guerre le paci:
se fûr mille i martír, sien mille i baci.


Alle aure 

Questo vaso d’amomo e questi acanti,
primo pregio d’april, queste odorate
rose ad un parto con l’aurora nate,
questo cesto di gigli e d’amaranti,

a voi, de l’aria peregrine erranti,
fien sacri, aure felici, aure beate,
se, mentre per lo ciel l’ali spiegate,
vosco trarrete i preghi miei volanti;

sí che questi, ch’io spargo, amari accenti
oda di lá, dove n’andate or voi,
Elpinia, e ’l flebil suon de’ miei lamenti.

Ben avrete de l’opra il premio poi:
forza e vigor da’ miei sospiri ardenti,
grazia ed odor da’ dolci fiati suoi.



L’Adone (link esterno)


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