Jacopone da Todi (1230-1306)

Donna de Paradiso

«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ò flagellato».

«Come essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?».

«Madonna, ello è traduto,
Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto,
fatto n’à gran mercato».

«Soccurri, Madalena,
ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena,
como è annunzïato».

«Soccurre, donna, adiuta,
cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».

«O Pilato, non fare
el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato».

«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo la nostra lege
contradice al senato».

«Prego che mm’entennate,
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».

«Traiàn for li latruni,
che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni,
ché rege ss’è clamato!».

«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustïato?

Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si lattato?».

«Madonna, ecco la cruce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
déi essere levato».

«O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
E que ci aponerai,
che no n’à en sé peccato?».

«Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo figliol se spoglia;
la gente par che voglia
che sia martirizzato».

«Se i tollit’el vestire,
lassatelme vedere,
com’en crudel firire
tutto l’ò ensanguenato».

«Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
tanto lo ’n cci ò ficcato.

L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.

Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
onne iontur’aprenno,
tutto l’ò sdenodato».

«Et eo comenzo el corrotto;
figlio, lo meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?

Meglio aviriano fatto
ch’el cor m’avesser tratto,
ch’ennella croce è tratto,
stace descilïato!».

«O mamma, o’ n’èi venuta?
Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta,
ch’el veio sì afferato».

«Figlio, ch’eo m’aio anvito,
figlio, pat’e mmarito!
Figlio, chi tt’à firito?
Figlio, chi tt’à spogliato?».

«Mamma, perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni,
ch’êl mondo aio aquistato».

«Figlio, questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo ’n m’esc’ el fiato.

C’una aiàn sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura
mat’e figlio affocato!».

«Mamma col core afflitto,
entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto;
sia to figlio appellato.

Ioanni, èsto mea mate:
tollila en caritate,
àginne pietate,
cà ’l core si à furato».

«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, e a ccui m’apiglio?
Figlio, pur m’ài lassato!

Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo,
figlio, cusì sprezzato?

Figlio dolc’e placente,
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
mala mente trattato.

Ioanni, figlio novello,
morto s’è ’l tuo fratello.
Ora sento ’l coltello
che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate
mat’e figlio impiccato!».



Altissima luce col grande splendore

Altissima luce                col grande splendore,
in voi, dolce amore,     aggiàm consolanza.

Ave, regina,                    pulzella amorosa,
stella marina                  che non stai mascosa,
luce divina,                     virtù grazïosa,
belezza formosa,          de Dio se’ semblanza.

Templo sacrato,            ornato vasello,
annunzïato                     da san Gabrïello,
Cristo è ‘ncarnato         nel tuo ventre bello,
frutto novello                con gran dilettanza.

Verginitade                    a Dio promettesti,
umanitade                     co llui coniungesti,
con puritade                  tu sì ‘l parturisti,
non cognoscesti           carnal delettanza.

Fosti radice                    in cielo plantata,
madr’ e nutrice             a Dio disponsata:
imperadrice                   tu se’ deficata,
nostra avvocata            per tua pïetanza.

Fresca riviera                 ornata di fiori,
tu se’ la spera                di tutti colori:
guida la schiera             di noi peccatori,
sì ch’asavori                   de la tua beninanza.

Ave Maria,                      di gratïa plena
tu se’ la via                     ch’a vita ci mena:
di tenebria                      traesti e di pena
la gente terrena,            ch’era ‘n gran turbanza.

Donna placente,             che sì foste umana,
fonte surgente                sovr’ ogne fontana,
istíevi a mente                la gente cristiana,
che non sia vana             la nostra speranza.

Umilïasti                           la summa potenza
quando ancillasti            la tua sapïenza:
signoriggiasti                   con grande eccellenza,
sì c’hai licenza                 di far perdonanza.

Vergene pura                  con tutta bellezza,
senza misura                   è la tua grandezza:
nostra natura                  recasti a franchezza,
ch’era a vileza                 per molta offesanza.

De la dolzore,                 che ‘n te è cotanta,
lingua né core                 non po’ dicer quanta,
Garzo dottore                 di voi, donna, canta,
Virgine santa,                  con tutt’onoranza.




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