Marino Moretti (1885-1979)

La malinconia

Vorrei cantare tutte l’ore grige
in questa solitudine remota
mentre ripenso, pallida, una gota,
mentre rivedo, piccola, un’effige.

Sei tu, amica mia
di qualche pomeriggio provinciale
che vieni a darmi un poco del tuo male,
che vieni a farmi un po’ di compagnia?

Vorrei cantare tutte l’ore vane
che noi vivemmo insieme a quando a quando,
stretti, sperduti, mentre che, tremando,
tu avevi lo sguardo umido d’un cane.

Rammenti l’ore che buttammo via
in una chiesa di sobborgo a sera,
presso una Santa Monica di cera
che ci fissava? Che malinconia!

Rammenti l’ore che buttammo via
nella saletta d’una stazïone?
Forse qualcuno le ha trovate buone,
e le ha raccolte. Che malinconia!

E quelle che cedemmo ai mendicanti
ciarlieri e ai venditori di castagne,
agli scaccini e a certe tue compagne,
a un soldato, a un postino, a chi sa quanti!

Amica, e l’ore che buttammo via
giocando due cartelle in un salotto,
a Lucca? E quella voce: “Cinquantotto…
tredici…ottanta…”. Che malinconia!

E l’ora in cui ti vidi lacrimosa
a un tratto per la persistente nota
d’un pianoforte in una via remota,
d’una cornetta in una piazza erbosa?

Forse non piangi più: sono serene
l’iridi tue col damo.
Egli non ti dirà: “Piccola, io t’amo”.
Invece ti dirà: “Ti voglio bene”.

E “Pensi all’ore che buttammo via
nelle pinacoteche?” ti dirà.
Forse qualcuno le ritroverà
presso una Flora o presso una Maria,

fra un Dolci e un Lippi… Che malinconia!



Valigie

Voglio cantare tutte l’ore grigie
in questa solitudine pensosa
mentre raduno ogni mia vecchia cosa
a riempir le mie vecchie valigie.

Oh le valigie, le compagne buone
dei poveri viaggi in terza classe
vecchie, sfiancate, fatte con qualche asse
sottile e con la tela e col cartone.

Le camicie van qui da questa parte,
quaggiù ai colletti cerco di far posto,
lì le cravatte e qua, quasi nascosto,
un manoscritto, e ancora libri e carte.

Ecco il pacchetto della mamma. Odora
vagamente di cacio e di salame.
Già, se avessi in viaggio ancora fame.
E questo libro e un altro, un altro ancora.

Dove vado? Non so. Ma mi sovviene
d’averla pur desiderata questa
partenza come, il piccolo, la festa
che col serraglio e con la giostra viene.

Dove vado? Non so. Ma pare a me ch’io debba
vivere senza scopo, allo sbaraglio;
e a tratti con l’inutile bagaglio
partir per i paesi della nebbia…


A Cesena

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.

Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.

Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
triste è per te la pioggia cittadina,
il nuovo amore che non ti soccorse,

il sogno che non ti avvizzì, sorella
che guardi me con occhio che s’ostina
a dirmi bella la tua vita, bella,

bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora
o sposa, io vedo tuo marito, sento,
oggi, a chi dici mamma, a una signora;

so che quell’uomo è il suocero dabbene
che dopo il lauto pasto è sonnolento,
il babbo che ti vuole un po’ di bene.

“Mamma!” tu chiami, e le sorridi e vuoi
ch’io sia gentile, vuoi ch’io le sorrida,
che le parli dei miei vïaggi, poi…

poi quando siamo soli (oh come piove!)
mi dici rauca di non so che sfida
corsa tra voi; e dici, dici dove,

quando, come, perché; ripeti ancora
quando, come, perché; chiedi consiglio
con un sorriso non più tuo, di nuora.

Parli di una cognata quasi avara
che viene spesso per casa col figlio
e non sai se temerla o averla cara;

parli del nonno ch’è quasi al tramonto
il nonno ricco del tuo Dino, e dici:
“Vedrai, vedrai se lo terrò di conto”;

parli della città, delle signore
che già conosci, di giorni felici,
di libertà, d’amor proprio, d’amore.

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
sono a Cesena e mia sorella è qui,
tutta d’un uomo ch’io conosco appena,

tra nuova gente, nuove cure, nuove
tristezze, e a me parla… così,
senza dolcezza, mentre piove o spiove:

“La mamma nostra t’avrà detto che…
E poi si vede, ora si vede, e come!
sì, sono incinta… Troppo presto, ahimè!

Sai che non voglio balia? che ho speranza
d’allattarlo da me? Cerchiamo un nome…
Ho fortuna, è una buona gravidanza…

Ancora parli, ancora parli, e guardi
le cose intorno. Piove. S’avvicina
l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi.

E l’anno scorso eri così bambina!

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