Matteo Maria Boiardo (1441-1494)




De avorio e d’oro e de corali 


De avorio e d’oro e de corali è ordita
la navicella che mia vita porta;
vento suave e fresco me conforta,
e il mar tranquillo a navicar me invita.

Vago desir coi remi a gir me aita,
governa el tempo Amor, che è la mia scorta,
Speranza tien in man la fune intorta
per porre il ferro adunco a la finita.

Così cantando me ne vo legiero
e non temo de’ colpi de fortuna
come tu che li fugi e non sciai dove.

Crede a me, Guido mio, che io dico il vero:
càngiasse mortal sorte or bianca or bruna,
ma meglio è morte qua che vita altrove.



Tornato è il tempo rigido e guazoso

Tornato è il tempo rigido e guazoso,
che la notte sù crese e il giorno manca,
il ciel se anera e la terra se imbianca,
l’unda è concreta e il vento è ruinoso.

Et io come di prima son focoso,
né per fredura il mio voler se stanca;
la fiama che egli ha intorno sì lo affranca
che nulla teme il fredo aspro e noglioso.

Io la mia estate eterna haggio nel petto,
e non la muta il turbido Orïone
né Hyàde né Plyàde né altra stella.

Scaldami il cor Amor con tal diletto
che verdegiar lo fa d’ogni stagione,
ché il suo bel Sole a li ochi mei non cella.



Già vidi uscir de l’onde una mattina 

Già vidi uscir de l’onde una matina
il sol di ragi d’or tutto jubato,
e di tal luce in facia colorato
che ne incendeva tutta la marina;

e vidi a la rogiada matutina
la rosa aprir d’un color sì infiamato
che ogni luntan aspetto avria stimato
che un foco ardesse ne la verde spina;

e vidi aprir a la stagion novella
la molle erbeta, sì come esser sòle
vaga più sempre in giovenil etade;

e vidi una legiadra dona e bella
su l’erba coglier rose al primo sole
e vincer queste cose di beltade.




Cantati meco, inamorato augelli


Cantati meco, inamorati augelli,
poiché vosco a cantar Amor me invita;
e voi, bei rivi e snelli,

per la piagia fiorita
teneti a le mie rime el tuon suave.
La beltade che io canto è sì infinita

che il cor ardir non have
pigliar lo incarco solo,
ché egli è debole e stanco, e il peso è grave.

Vaghi augelleti, voi ne giti a volo,
perché forsi credeti
che il mio cor senta dolo,

e la zoglia che io sento non sapeti.
Vaghi augeleti, odeti:
che quanto gira in tondo

il mare e quanto spira zascun vento,
non è piacer nel mondo
che aguagliar se potesse a quel che io sento.



Deh, non chinar quel gentil guardo a terra

Deh, non chinar quel gentil guardo a terra,
lume del mondo e spechio de li dèi,
ché fuor di questa corte Amor si serra
e sieco se ne porta i pensier’ mei.

Perché non posso io star dove io vorei,
eterno in questo gioco,
dove è il mio dolce foco
dal qual tanto di caldo già prendei?

Ma se ancor ben volesse, io non potrei
partir quindi il mio core assai o poco,
né altrove troveria pace né loco
e sanza questa vista io morerei.

Deh, vedi se in costei
Pietade e Gentileza ben s’afferra
come alcia li ochi bei
per donar pace a la mia lunga guerra.



Se alcun de amor sentito

Se alcun de amor sentito
ha l’ultimo valor, sì come io sento,
pensi quanto è contento
uno amoroso cor al ciel salito.


Da terra son levato e al ciel son gito,
e gli ochi ho nel sol fisi al gran splendore
e il mio veder magiore
fatto è più assai di quel che esser solia.
Qual inzegno potria
mostrar al mio voler e penser’ mei?
Perché io stesso vorei
cantar mia zoglia, e non essere odito.

Se alcun de amor sentito–ecc.


Io son del mio diletto sì invagito
che a ragionarni altrui prendo terrore;
né in alcun tempo amore
fu mai né sarà senza zelosia.
Ben fòra gran folìa
a scoprir la belleza di costei,
ché ben ne morerei
se io fusse per altrui da lei partito.

Se alcun de amor sentito–ecc.

Beato viso, che al viso fiorito
fusti tanto vicin che il dolce odore
ancor me sta nel core,
e starà sempre insin che in vita sia,
tu l’alta legiadria
vedesti sì di presso e gli ochi bei;
tu sol beato sei,
se il gentil spechio tuo non t’è rapito.

Se alcun de amor sentito–ecc.

Felice guardo mio, che tanto ardito
fusti ne lo amirar quel vivo ardore,
chi te potrà mai tòre
lo amoroso pensier che al ciel te invia?
Ben scio certo che pria
e l’alma e il core e il senso perderei;
ben scio che io sosterei
anzi di cielo e terra esser bandito.

Se alcun de amor sentito–ecc.

Ligato sia con meco e sempre unito:
se meco insieme l’anima non more,
non se trarà mai fore
questo unico mio ben de l’alma mia.
Dolce mia segnoria,
a cui ne’ mei primi anni me rendei,
sanza te che sarei?
Inculto rozo misero e stordito.

Se alcun de amor sentito–ecc.

Per te, candida rosa, son guarnito
di spene e zoglia, e vòto di dolore;
per te fugi’ lo errore
che in falsa sospizione el cor me apria.
Tu sola sei la via
che me conduce al regno de gli dèi;
tu sola e pensier’ rei
tutti hai rivolti, e me di novo ordito.

Se alcun de amor sentito–ecc.

Per te sum, rosa mia, del vulgo uscito,
e forsi fia ancor letto el mio furore,
e forsi alcun calore
de la mia fiama ancor inceso fia;
e se alcuna armonia
oguagliar se potesse ai pensier’ mei,
forsi che ancor farei
veder un cor di marmo intenerito.

Se alcun de amor sentito–ecc.

Cantiamo adunque il viso colorito,
cantiamo in dolce notte il zentil fiore
che dà tanto de onore
a nostra etade che l’antiqua oblia.
Ma l’alta fantasia,
ne la qual già pensando me perdei,
nel rimembrar di lei
da me m’ha tolto e sopra al ciel m’ha sito.

Se alcun de amor sentito–ecc.


Io non scio se io son più quel ch’io solea

Io non scio se io son più quel ch’io solea,
ché ’l mio veder non è già quel che sòle:
veduto ho zigli e rose e le viole
tra neve e giazi a la stagion più rea.

Qual’ erbe mai da Pindo ebbe Medea?
Qual’ di Gargano la figlia del Sole?
Qual’ pietre ebbe ciascuna e qual’ parole
che dimostrasse quel ch’io mo’ vedea?

Io vidi in quel bel viso Primavera,
de erbetta adorna e de ogni gentil fiore,
vermiglia tutta, d’or, candida e nera.

Ne l’ultima partita stava Amore
e in man tenea di fiame una lumera
che l’altri ardea ne gli ochi, e me nel core.



Datime a piena mano rose e zigli

Datime a piena mano e rose e zigli,
spargete intorno a me viole e fiori;
ciascun che meco pianse e mei dolori,
di mia leticia meco il frutto pigli.

Datime e fiori e candidi e vermigli:
confano a questo giorno e bei colori;
spargeti intorno d’amorosi odori,
ché il loco a la mia voglia se assumigli.

Perdon m’ha dato et hami dato pace
la dolce mia nemica, e vuol ch’io campi,
lei che sol di pietà se pregia e vanta.

Non vi maravigliati perch’io avampi
ché maraviglia è più che non se sface
il cor in tutto de alegreza tanta.


Orlando innamorato (link esterno)


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