Paolo Rolli (1687-1765)



Primavera

Tornasti, o primavera
E l’erbe verdi e i fiori
E i giovanili amori
Tornarono con te.

E il mio felice stato,
Teco una volta nato,
Col dolce tuo rinascere
Tornò più dolce a me.

Su la nativa spina
Aspetta già la rosa
Che l’alba rugiadosa
Tempri il suo bel color.

Son nati i bei giacinti,
Gli anemoni dipinti,
Le mammole, i ranuncoli
E ogn’altro amabil fior.

Già pria dell’altre frutta
Spuntò su la collina
La verde mandolina
Sollecita a fiorir;

E la cerasa anch’ella,
Che fiorì dopo quella,
Già la sua veste pallida
Comincia a colorir.

Con queste prime fronde,
Con questi primi fiori,
Nacque, vezzosa Dori,
Il nostro fido amor;

E non fu già qual fiore
Che nato appena, muore;
Né il sol che lo fe’ sorgere
Fe’ perdergli il vigor.

Sull’erbe già fiorite
Il praticel ne aspetta
Presso la collinetta
Con quella fonte al piè:

Vieni; più bel riposo
Del tufo tuo muscoso,
Che le circonda il margine,
Nel nostro suol non v’è.

Vedremo lunge intorno
E il pallido terreno
Perché recise in seno
Le stoppie vi restar;

E in seminati solchi,
Speranza de’ bifolchi,
Della maese giovine
Le foglie verdeggiar.

Vedrem quai riposati
Campi l’aratro fende;
E il vomero che splende
Sovra il lavor che fa:

Sì le gramigne ingrate
Ucciderà la state;
E più nudrita e prodiga
La messe crescerà.

Or dal varcato mare
Appena si riposa
La quaglia numerosa,
Che accendesi d’amor;

Fiutando il can da lunge
La siegue, la raggiunge,
E con la zampa in aria
Fa cenno al cacciator.

Udremo l’usignuolo
Con l’altro che risponde
All’ombra delle fronde
Un bel concento far;

E la prontissim’Eco,
Vigile nel suo speco,
Delle lor note flebili
L’estreme replicar.

De i geli dell’inverno
A compensarne il danno,
Ringiovenisce l’anno,
Torna ogni bel piacer;

Ma oh quanto pochi sono,
Che tal celeste dono
Al par di noi conoscano
E il sappiano goder!

L’ambizione, il fasto,
L’avida brama avara
Non san che sia la cara
Campestre libertà.

L’error che tanti inganna,
Ha in odio umil capanna,
Ama le turbe ed abita
Le regge e le città.


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