Sergio Corazzini (1886-1907)

Toblack

I
….E giovinezze erranti per le vie
piene di un sole malinconico,
portoni semichiusi, davanzali
deserti, qualche piccola fontana

che piange un pianto eternamente uguale
al passare di ogni funerale,
un cimitero immenso, un’infinita
messe di croci e di corone, un lento

angoscioso rintocco di campana
a morto, sempre, tutti i giorni, tutte
le notti, e in alto, un cielo azzurro, pieno

di speranza e di consolazione,
un cielo aperto, buono come un occhio
di madre che rincuora e benedice.

II
Le speranze perdute, le preghiere
Vane, l’audacie folli, i sogni infranti,
le inutili parole degli amanti
illusi, le impossibili chimere,

e tutte le defunte primavere,
gli ideali mortali, i grandi pianti
degli ignoti, le anime sognanti
che hanno sete, ma non sanno bere,

e quanto v’ha Toblack d’irraggiungibile
e di perduto è in questa tua divina
terra, è in questo tuo sole inestinguibile,

è nelle tue terribili campane
è nelle tue monotone fontane,
Vita che piange; Morte che cammina.

III
Ospedal tetro, buona penitenza
Per i fratelli misericordiosi
Cui ben fece di sé Morte pensosi
Nella quotidiana esperienza,

anche se dal tuo cielo piova, senza
tregua, dietro i vetri lacrimosi
tiene i lividi tuoi tubercolosi
un desiderio di convalescenza.

Sempre, così finché verrà la bara,
quietamente, con il crocefisso
a prenderli nell’ultima corsia.

A uno a uno Morte li prepara,
e tutti vanno verso il tetro abisso,
lungo, Speranza, la tua dolce via!

IV
Anima, quale mano pietosa
Accese questa sera i tuoi fanali
Malinconici, lungo gli spedali
Ove la morte miete senza posa?

Vidi lungo la via della Certosa
Passare funerali e funerali;
disperata etisia degli Ideali
anelanti la cima gloriosa!

Ora tutto è quieto; nelle bare
Stanno i giovini morti senza sole,
arde in corona la pietà dei ceri.

Anima, vano è questo lacrimare,
vani i sospiri, vane la parole,
su quanto ancora in te viveva ieri.



Il mio cuore

Il mio cuore è una rossa
macchia di sangue dove
io bagno senza possa
la penna, a dolci prove

eternamente mossa.
E la penna si muove
e la carta s’arrossa
sempre a passioni nove.

Giorno verrà: lo so
che questo sangue ardente
a un tratto mancherà,

che la mia penna avrà
uno schianto stridente…
…e allora morirò.


Torna alla pagina: “Le più belle poesie della lingua italiana”