Tommaso Campanella (1568-1639)

Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro

Anima immortale

Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro
tanto, che quanti libri tiene il mondo
non sazian l’appetito mio profondo.
Quanto ho mangiato! e del digiun pur moro!

D’un gran mondo Aristarco e Metrodoro
di piú cibommi, e piú di fame abbondo;
disiando e sentendo, giro in tondo;
e quanto intendo piú, tanto piú ignoro.

Dunque immagin sono io del Padre immenso,
che gli enti, come il mar li pesci, cinge,
e sol è oggetto dell’amante senso;

cui il sillogismo è stral, che al segno attinge;
l’autoritá è man d’altri; donde penso
sol certo e lieto chi s’illuia e incinge.


In superbia il valor, la sanitate


A’ poeti

In superbia il valor, la santitate
passò in ipocrisia, le gentilezze
in cerimonie, e ’l senno in sottigliezze,
l’amor in zelo, e ’n liscio la beltate,

mercé vostra, poeti, che cantate
finti eroi, infami ardor, bugie e sciocchezze,
non le virtú, gli arcani e le grandezze
di Dio, come facea la prisca etate.

Son piú stupende di Natura l’opre
che ’l finger vostro, e piú dolci a cantarsi,
onde ogni inganno e veritá si scuopre.

Quella favola sol dee approvarsi,
che di menzogne l’istoria non cuopre
e fa le genti contra i vizi armarsi.



Come va al centro ogni cosa pesante


Al carcere

Come va al centro ogni cosa pesante
dalla circonferenza, e come ancora
in bocca al mostro che poi la devora,
donnola incorre timente e scherzante,

cosí di gran scienza ognuno amante,
che audace passa dalla morta gora
al mar del vero, di cui s’innamora,
nel nostro ospizio alfin ferma le piante.

Ch’altri l’appella antro di Polifemo,
palazzo altri d’Atlante, e chi di Creta
il laberinto, e chi l’inferno estremo.

Ché qui non val favor, saper, né pièta,
io ti so dir; del resto, tutto tremo,
ch’è ròcca sacra a tirannia segreta.



Io, che nacqui dal Senno e di Sofia


lo, che nacqui dal Senno e da Sofia,
sagace amante del ben, vero e bello,
il mondo vaneggiante a sé rubello
richiamo al latte della madre mia.

Essa mi nutre, al suo marito pia,
e mi trasfonde seco, agile e snello,
dentro ogni tutto, ed antico e novello,
perché conoscitor e fabbro io sia.

Se tutto il mondo è come casa nostra,
fuggite, amici, le seconde scuole,
ch’un dito, un grano e un detal ve ‘l mostra.

Se avanzano le cose le parole,
doglia, superbia e l’ignoranza vostra
stemprate al fuoco ch’io rubbai dal Sole.


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