Vittoria Colonna (1490-1547)

Parmi che ‘l sol non porga il lume usato

Parmi che ’l sol non porga il lume usato,
né che lo dia sì chiaro a sua sorella;
non veggio almo pianeta o vaga stella
rotar lieto i bei rai nel cerchio ornato.

Non veggio cor più di valor armato,
fuggito è ’l vero onor, la gloria bella
nascosta e le virtù giunte con ella,
né vive in arbor fronde o fiore in prato.

Veggio turbide l’acque e l’aer nero;
non scalda il foco né rinfresca il vento;
tutti han smarrita la lor propria cura.

Da l’or che ’l mio bel Sol fu in terra spento
o è confuso l’ordin di natura
o ’l duolo ai sensi miei nasconde il vero.


Quando il gran lume appar ne l’orïente

Quando ’l gran lume appar nell’ Oriente,
Che ’l negro manto della notte sgombra,
E dalla terra il gelo, e la fredd’ ombra
Dissolve, e scaccia col suo raggio ardente;

Dell’ usate mie pene alquanto lente,
Per l’ inganno del sonno, allor m’ ingombra,
Ond’ ogni mio piacer risolve in ombra,
Quando da ciascun lato ha l’ altre spente.

O viver mio nojoso, o avversa sorte!
Cerco l’ oscurità, fuggo la luce,
Odio la vita ognor, bramo la morte.

Quel, ch’ agli occhi altrui nuoce, a’ miei riluce,
Perchè chiudendo lor, s’ apron le porte
Alla cagion, ch’ al mio Sol mi conduce.


Sovra del mio mortal, leggera e sola

Sovra del mio mortal, leggera e sola,
aprendo intorno l’aere spesso e nero,
con l’ali del desio l’alma a quel vero
Sol, che più l’arde ognor, sovente vola,

e là su ne la sua divina scola
impara cose ond’io non temo o spero
che ‘l mondo toglia o doni, e lo stral fero
di morte sprezzo, e ciò che ‘l tempo invola,

chè ‘n me dal chiaro largo e vivo fonte
ov’ei si sazia tal dolcezza stilla
che ‘l mel m’è poi via più ch’assenzio amaro,

e le mie pene a lui noiose e conte
acqueta alor che con un lampo chiaro
di pietade e d’amor tutto sfavilla.


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